IV. 11 giugno 2020

Francesca Pennini

Sono il delay di me stessa.
Impasto il presente con l’eco del passo già rintoccato a terra. 
Per forza sbatti in giro se hai gli occhi nella nuca.
Questo è il pensiero che urla più forte, ma più preziosi e sottili sono quelli del silenzio di stamani. 
Del gute nacht con la nostalgia del futuro, guardando il teatro vuoto (più vuoto del solito perché sa che il suo pieno futuro è ciò che prima chiamava vuoto imbarazzante), della sala con gli stessi corpi di ieri, già seduti con le palpebre abbassate e le ossa in silenzio: Teodora e Davide. 
Questo deve essere il nostro ordine di ritmo biologico. 
Nella meditazione compare il silenzio e mi arrendo alla possibilità che durante quelle silent track ufficiali si blocchi tutto… mi abbandono nel pensiero che potremmo rimanere incastrati in questo silenzio, galleggiare qui per ore. Mi sembra che stiano passando i 12 minuti. 
Sento il cantato che permea delle cuffie di Teodora ed è come se venisse da dentro al suo corpo, come sentire una canzone che ha in testa. 
Penso che Simone sia seduto dove ho abbandonato il blocco di post it. 
E poi epifania improvvisa: Standchen. 
Da dentro di me. Non me l’aspettavo. È stata un’apparizione bellissima. 
Sento che Davide mi sta guardando, gli sorrido e penso che aprirò gli occhi e troverò i suoi.
Eccoli. 
Guardo Simone e mi commuovo nel vederlo alla mia sinistra. Gli dedico la performance della mia lacrima che cresce al bordo esterno dell’occhio destro e sta per segnare la guancia. 
Tutto è ancora sospeso al culmine della prima salita delle montagne russe. 
Poi giù che si va, oltre la giornata. 
Divento operativa con la solita sintomatologia da blefarospasmo e parlato accelerato. 
Finisco con la tortura… volevo fare la scena aggiuntiva, volevo ambiguare quel momento tra di noi, farlo tornare ad essere una performance. Lasciare il dubbio. Chissà se si era capito. 
Mi lavorano i capezzoli a lungo, non mi preoccupa nulla… solo la difficoltà del non cadere nella risata, in quel fuori. 
Non voglio dare un feedback della mia sensienza. 

Per voi cannibali e per voi arbusti:
Mi rimprovero il fatto di non avere nessun filtro tra quello che penso e quello che dico.
Scusate se vi vomito addosso ogni mia verità. Prendetelo come un segnale di fratellanza.
Cannibalismo dei pensieri.
Esistono piante cannibali?

Carmine Parise

La tecnologia, in un modo o nell’altro, ti lascia sempre a piedi. 
Sto ascoltando un’infiltrata o un altro tradimento tecnologico? 
Oggi sono viola. 
Lo sono tutto il giorno e faccio fatica ad essere silenzioso. 
È faticoso, sono una cosa che non ho capito bene, ma che voglio esplorare. 
Ritmo forsennato. Siamo al galoppo verso la nostra prima prova, una bozza. 
Oggi vedo rosso.
Oggi conto. 
Oggi non parlo. 
Vorrei essere alieno almeno per una volta. 
Saliremo su questa navicella spaziale tutti assieme?

Angelo Pedroni

Forsennati. Cinetico style. Vecchi ricordi di modalità last second, squadra carica e a momenti iperattiva. Troppi pensieri. Anche la meditazione è un misto di entrare e uscire dal problem solving personale. Poi li senti che son tutti sulla stessa barca e pensi che faremo un gran lavoro in questo modo. Basta mantenere un livello di caos sufficiente a far sembrare le cose impossibili. Poi si va in scena. Oggi solo per la nostra telecamera e Arganini che si sperimenta tecnico con una pacatezza sospetta. È solo questione di tempo: anche lui andrà in overload e finalmente lo vedremo con schiuma alla bocca e sopracciglia costipate. Durante la giornata riecheggiano i sorrisi sinceri della prima apertura degli occhi. Quello scambio infinito tra Francesca e Simone che valeva da solo la giornata. Che già pregustavano la sinergia di due corpi inermi dati in pasto alla goliardia di un fine prove come si deve. Guardiamo in coro Teodora che sta in un suo shuffle personale mentre Carmine affronta i problemi di un silenziamento improvvisato a caso. Finotti si presenta trafelato, non gli funziona niente. Poi funziona, ok, ma sia lui che io siamo in ritardo sulla consegna e siamo destinati a essere fuori sincro. Insomma. Una giornata che dal livello di caos sembra che stiamo per andare in scena davvero. Significa che siamo tornati alla vita mi sa. 

E quindi, visto che abbiamo passato una quarantena popolata da pensieri rivoluzionari e buoni propositi, come possiamo godere, di tutto, sempre? 

Che poi mi rispondo da solo. È lì, ad un passo da noi. 

Mille momenti in un giorno in sala prove che valgono da soli queste scelte di vita così improbabili. Quelle che continuiamo a confermare e maledire ogni giorno. Avanti così. Sarà un successo punk.

Teodora Grano

(fotografia da una pagina di un libro)

“Appendice 1950 – 1960

1° Gennaio 1956

(Messaggio di Capodanno)
Le vittorie più grandi sono quelle che fanno meno rumore.
Il manifestarsi di un nuovo mondo non viene proclamato da un rullio di tamburi.
Appendice di altri. 

Come cerchi il rumore per dirgli di smettere di fare rumore?

Davide Finotti

Noi 
siamo altrove. Noi
Non siamo.
Capitoliamo